Immaginate di fluttuare nello spazio, con la Terra che ruota maestosa sotto di voi. In “Orbital”, Samantha Harvey ci porta a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, seguendo sei astronauti per 24 ore in un viaggio di riflessione, bellezza e scoperta.
«La Terra è la risposta a tutte le domande. La Terra è il volto di un innamorato felice; la guardano dormire e svegliarsi e si perdono nelle sue abitudini. La Terra è una madre che aspetta il ritorno dei suoi figli, pieni di storie, di estasi, di nostalgia».
Non lo spazio profondo ma la Terra, il nocciolo duro della sua umanità: è questo il focus di Samantha Harvey nella sua breve e anomala space opera, Orbital. Si tratta di un lavoro sperimentale, quasi senza trama, un romanzo soffuso ed elegante che finalmente sbarca in Italia, grazie a NN Editore, dopo il trionfo al Booker Prize 2024.
La materia narrata è tanto esile quanto impalpabile: sei esseri umani di diverse nazionalità passano un giorno intero in orbita attorno alla Terra. La mancanza di scopo e la solitudine non li rendono meno umani. Al contrario, li connettono al livello superiore, quello degli osservatori, garantendo loro il tempo necessario e la giusta prospettiva per guardare alla propria vita da un punto di vista letteralmente sopraelevato.

“Orbital” è un libro di indubbia originalità e peculiare esecuzione. Relativamente breve ma a suo modo densissimo, è un esperimento narrativo che si svolge per intero a bordo della Stazione Spaziale Internazionale nell’arco di sedici orbite attorno al nostro pianeta. Perché proprio sedici? Perché quello è il “percorso” normale e quotidiano della stazione nell’arco di 24 ore.
La vera forza di questa space opera risiede nella scrittura, nell’uso calibrato del linguaggio – al contempo piano e ricco – che l’autrice usa per portarci nella Stazione Spaziale Internazionale, sospesi fra le vite degli astronauti e dei cosmonauti che si trovano a vivere ventiquattr’ore di esistenza sospesa, galleggiante sopra i problemi e le tragedie terrestri.
Elogio del tempo sospeso, viaggio circolare senza meta e senza scopo, la danza dei corpi umani sul baratro nero dello spazio è una parentesi quasi priva di eventi che lascia esplodere nel vuoto di un silenzio assoluto l’interiorità di ognuno, le paure, i sogni, le speculazioni sul senso del proprio percorso e della propria vita.

Orbital
Samantha Harvey
Nel cuore nero del cosmo, sei astronauti viaggiano in orbita attorno alla Terra, a bordo di una stazione spaziale. Vengono dall’America, dalla Russia, dall’Italia, dalla Gran Bretagna e dal Giappone, e sono partiti per studiare il silenzioso pianeta blu, su cui scorre intensa la vita da cui sono esclusi: un matrimonio in crisi, un funerale, un fratello ammalato, un tifone che minaccia devastazione. Li vediamo nei brevi momenti di intimità in cui preparano pasti disidratati, fanno ginnastica per non perdere massa, dormono a mezz’aria in assenza di gravità, stringono legami tra loro per sottrarsi alla solitudine. Ognuno è preso dai propri pensieri e dal proprio passato terrestre, ma più scorre il tempo più cominciano a sentirsi parti di un unico corpo – Pietro la mente, Anton il cuore, Roman le mani, Chie la coscienza, Shaun l’anima e Nell il respiro. Profondo e commovente, Orbital è un canto d’amore alla bellezza dell’universo e del nostro pianeta, che osservato da lontano diventa prezioso e precario, un gioiello sospeso nell’infinito, un paradiso da proteggere. Con voce incantata, Samantha Harvey ci ricorda che di fronte all’immensità del tempo e dello spazio siamo solo piccole foglie al vento, e che la nostra esistenza è scritta dal futuro che riusciamo a sognare.
Samantha Harvey propone – a ciclo continuo – descrizioni liriche di ciò che si ammira dagli oblò e l’impasto dei pensieri e dei ricordi dell’equipaggio. Tre eventi emergeranno per ancorare gli astronauti al resto degli accidenti umani: un tornado mastodontico da monitorare, una persona cara che muore, un’altra missione che rende quasi puerile il movimento circolare della stazione. Saranno tre sterzate potenti? No, perché in questo romanzo – e nel come sceglie di raccontarci la vita umana in un contesto così unico – le proporzioni non funzionano come le intendiamo noi. E nemmeno il tempo, le distanze, i legami. Verremo a tratti investiti da un tedio infinito e sorpresi un istante dopo da un’illuminazione improvvisa, ci convinceremo di essere troppo insignificanti per mutare il corso delle cose e ci sentiremo, immediatamente dopo, paralizzati dall’immensa fortuna di esistere.
Un romanzo che funziona come la forza di gravità su un essere umano che diventa un astronauta: il corpo smette di avere peso, mentre il cervello continua a gestirlo come se ci fosse ancora qualcosa che fa resistenza, che ti tira giù verso il suolo e ti obbliga a sapere sempre dov’è l’alto e dov’è il basso.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.