Federico Rampini, noto giornalista e scrittore, analizza la crisi economica e politica che attanaglia l’Italia e l’Europa. Da osservatore privilegiato, in qualità di corrispondente per diverse testate nazionali tra le quali il quotidiano La Repubblica, analizza le esperienze dei Paesi emergenti e cerca di cogliere i punti di forza, o quello che rimane valido ancora, del modello europeo.
Nel libro “Alla mia sinistra. Lettera aperta a tutti quelli che vogliono sognare insieme a me” Federico Rampini traccia un bilancio dei costi del berlusconismo e degli errori fatali commessi dalla sinistra. E lancia un segnale chiaro per non “lasciarci risucchiare dalla sindrome di declino”.
L’autore compone per il lettore una sorta di mosaico in cui s’intrecciano le esperienze di realtà apparentemente più lontane, le economie emergenti di Brasile, Cina e India, e quello che sta accadendo nella più vicina Europa, in preda alla crisi più cupa, per capire la situazione attuale dell’Italia e se ci sarà un futuro per il nostro sistema paese.
Uno sguardo cosmopolita quello di Rampini che attraverso la lente dell’esperienza mette a fuoco gli elementi e le ricette su cui puntare, non solo per uscire dalla crisi, ma per non lasciarci travolgere dagli eventi e trovare la forza per incidere su di essi per un vero e profondo cambiamento.
“Avevo il dovere di scrivere questo libro. Perché ho due figli ventenni che affrontano, come tutti i loro coetanei, il mercato del lavoro più difficile dai tempi della Grande Depressione. Perché devo rispondere delle mie responsabilità: appartengo a una certa generazione della sinistra occidentale che ha creduto di poter migliorare la società usando il mercato e la globalizzazione.
Oggi so che la sinistra ha commesso errori fatali, di cui sono stato partecipe. Il mercato e la globalizzazione sono stati al centro di un grande disegno egemonico, nato nel cuore della destra americana e dei grandi centri del potere capitalistico, che hanno smantellato senza pietà diritti e tutele dei lavoratori, rendendoci tutti più isolati e più deboli. Ho voluto sfogliare il mio album di famiglia, la storia che ho vissuto con un pezzo della sinistra italiana, europea, americana dagli anni Settanta a oggi, con cui ho condiviso utopie, lotte, abbagli, sbandate e illusioni, per capire le ragioni delle nostre sconfitte, quindi aprire una pagina nuova.
Dalla deformazione dell’idea socialista in Cina alle enormi aspettative suscitate, e poi tradite, da Barack Obama negli Stati Uniti, fino all’impasse dell’integrazione europea: è urgente dare un senso al periodo storico che stiamo attraversando. Non usciremo dalla Grande Contrazione, questo terremoto finanziario, economico e sociale che ci ha investito, se non ricostruiamo nelle nostre società elementi di eguaglianza e di giustizia. Come negli anni Trenta, se non interviene un nuovo progetto riformatore il capitalismo rischia di distruggere la democrazia e il benessere collettivo.
Plutocrazia, tecnocrazia, populismo, autoritarismo sono i mali che minacciano le nostre democrazie. L’Italia è un piccolo laboratorio mostruoso di queste patologie. Avendo vissuto un’esperienza pluridecennale da nomade della globalizzazione – in Europa, in America, in Asia – ho il dovere di dire ciò che è accaduto all’immagine del nostro paese nel mondo. Devo raccontare dal mio osservatorio attuale nell'”Estremo Occidente” quali sono i costi dell’era Berlusconi, e anche le radici profonde del berlusconismo, che gli sopravvivranno, i vizi di un’Italia “volgare e gaudente” con cui dovremo fare i conti anche dopo.
Che cosa farà questa Italia “da grande”?
C’è ancora speranza? Esiste una vocazione forte per il nostro paese, in un mondo sconvolto da trasformazioni secolari?
Alla sinistra, cui appartengo dai tempi della mia formazione europea e della mia militanza nel Pci, indico le possibili vie d’uscita attingendo alle mie esperienze nelle nazioni emergenti, dall’Asia al Brasile: perché non possiamo farci risucchiare in una sindrome del declino tutta interna all’Occidente. Esploro quello che si agita di nuovo nell’America di oggi, da New York alla California. Cerco di riscoprire quel che resta di un modello europeo valido per noi.
Una cosa che mi è sempre piaciuta della sinistra è la sua idea ottimista della Storia. La Storia siamo noi, nel senso che possiamo influire sul corso degli eventi. Riusciremo a farlo solo se troviamo una narrazione comune che tenga insieme i bisogni e le aspirazioni non di una sola categoria, non di una sola nazione, ma dell’umanità intera.”
Federico Rampini
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