Pubblicato per la prima volta nel 1934 all’interno di una raccolta di rompicapi denominata The Torquemada Puzzle Book con una ricompensa di 15 sterline, questo enigma è tornato prepotentemente d’attualità grazie al passaparola su TikTok. La Mascella Di Caino non è propriamente un libro, ma non ai tratta neanche un gioco: in realtà è un complicatissimo enigma linguistico e letterario.
Basti pensaer che il titolo stesso prende il nome da quella che, secondo l’Amleto di Shakespeare, è considerata la prima arma della storia!!
Pubblicato in italiano con il prezioso lavoro di traduzione del collettivo The Crime Badger, e con la prefazione in italiano di Stefano Bartezzaghi, è composto da 100 pagine contenenti le storie di sei assassini.
“I giochi di parole non sempre funzionano in italiano, quindi in diversi casi li abbiamo inventati, senza però perdere di vista la loro funzione. Il difficile è stato distinguere quelli che rappresentavano un indizio e quelli che l’autore ha messo lì solo per confondere il lettore (diabolico!)…”
Ideato e scritto interamente da Edward Powys Mathers, cruciverbista inglese dell’Observer, con lo pseudonimo di Torquemada (nome preso in prestito dal cognome di un inquisitore spagnolo del XV secolo), La mascella di Caino è stato risolto ufficialmente solo quattro volte da quando è stato pubblicato: due soluzioni nel 1935, una nel 2016 e l’ultima nel 2020. La risoluzione dell’enigma non è mai stata resa pubblica, quindi non c’è nessuna possibilità di fare i furbi andando a recuperare le soluzioni su internet.
L’unico modo per arrivare alla soluzione finale, è individuare sia le sei vittime sia i sei assassini, ma non è così semplice come sembra: innanzitutto le 100 pagine di cui è composto il libro sono pubblicate in ordine sparso, e come prima cosa bisogna individuarne l’ordine corretto. Ma attenzione: non basta collegare le frasi che iniziano in una pagina e finiscono in un’altra, perché quasi tutte le pagine de La Mascella di Caino finiscono con il punto…
Anche confidare nel proverbiale colpo di fortuna risulta pressochè impossibile, visto che le possibili combinazioni sono oltre 100!
Consiglio per i lettori che non sopportano l’idea di rovinare un libro: astenetevi!!
Infatti l’unico modo possibile per trovare l’ordine corretto, è strappare le pagine una a una!!
Dopo un lungo periodo in cui questo enigma sembrava essere stato dimenticato, nel 2016 inizia la sua rinascita a livello editoriale, quando una copia è stata donata al Laurence Stern Trust, suscitando l’interesse del curatore Patrick Wildgust. I suoi tentativi (riusciti) di risolverlo hanno portato nel 2019 a una riedizione da parte di Unbound, un editore che pubblica solo testi finanziati tramite crowdfunding.
Il libro è stato così ripubblicato sia nella sua forma classica che sotto forma di carte da riordinare, con un’illustrazione di Tom Gauld in copertina (riproposta anche nell’edizione italiana). Anche questa volta era prevista una ricompensa: mille sterline per chi l’avesse risolto entro il 19 settembre 2020. In 12 hanno spedito una risposta ma solo una era corretta: quella inviata dal comico John Finnemore, che -complice la pandemia- ha trovato il tempo per dedicarsi alla risoluzione.
Finnemore ha raccontato di averci messo ben quattro mesi a risolverlo, e che non ci sarebbe riuscito senza innumerevoli ricerche su Internet e il moltissimo tempo avuto a disposizione durante il lockdown. Anche la versione italiana prevede una ricompensa: per chi riuscirà a risolvere l’enigma entro l’1 novembre 2022, Mondadori regala una gift card del valore di 500 euro (qui il regolamento completo).
Infine l’ultima scintilla che ha fatto rinascere l’interesse verso La mascella di Caino è scoccata quando, a fine 2021, l’assistente documentarista Sarah Scanner, ha postato su TikTok dei reel dove, trovandosi in un vicolo cieco, ha strappato le pagine della sua copia e le ha riordinate su una parete come fossero prove di un film poliziesco, decidendo così di coinvolgere i suoi follower nell’impresa.
L’intervista al collettivo The Crime Badger
Il collettivo che si è occupato della traduzione, ha deciso di definirsi con questa dichiarazione: “Con questo libro si è cimentato un collettivo di traduttori che si riconoscono con lo pseudonimo di The Crime Badger e non vogliono svelare i loro veri nomi. Le loro identità, tuttavia, non sono importanti: potrebbero essere anche una persona sola. Questi traduttori si sono talmente immedesimati nello spirito del libro da voler firmare la traduzione con un enigma”.
Il libro è stato scritto nel 1934, quindi con un inglese diverso da quello utilizzato oggi. Avete scelto di mantenere questa sfaccettatura nella traduzione?
“In linea di massima sì. Tutto sommato, non è stato difficile, perché nel libro si ritrova un pastiche di stili, dovuto non tanto all’epoca in cui è stato scritto quanto alle molte citazioni letterarie e ai giochi di parole. Per quanto riguarda le prime, abbiamo attinto – dove esistevano – alle edizioni pubblicate delle opere, traducendo noi quelle inedite in italiano. Nel fare questa seconda operazione, abbiamo ricalcato il registro originale, creato rime e fatto ricorso a termini arcaici. Quando invece ci siamo trovati davanti a giochi di parole, spoonerismi e altri trucchetti linguistici, abbiamo dato libero sfogo alla fantasia, pur rispettando il criterio usato dall’autore (spoiler: spesso questi giochi di parole sono indizi)”.
Per la traduzione vi è stato comunicato l’ordine corretto delle pagine? Conoscete anche la soluzione?
“Sì, abbiamo l’ordine corretto delle pagine e la soluzione, ma è tutto ben custodito nei nostri archivi informatici! Senza queste informazioni, il lavoro di traduzione sarebbe potuto durare anni, perché avremmo dovuto come prima cosa risolvere l’enigma”.
L’enigma è pieno di riferimenti letterari e giochi di parole. È stato difficile mantenerli in italiano in modo che aiutassero ugualmente a giungere alla soluzione?
“Non così tanto. Il difficile è stato stanarli. Alcuni riferimenti letterari ci hanno fatto subito suonare un campanellino e li abbiamo individuati piuttosto in fretta, altri li abbiamo trovati applicando il metodo caro a ogni traduttore: dubita di ogni cosa. In altre parole, uno dei ‘trucchi’ è stato leggere e rileggere più volte l’originale per capire dove c’erano frasi che stridevano e approfondire il perché. Ogni volta che qualcosa suonava strano, ed è successo spesso, abbiamo controllato la fonte e l’abbiamo trovata. I giochi di parole non sempre funzionano in italiano, quindi in diversi casi li abbiamo inventati, senza però perdere di vista la loro funzione. Il difficile è stato appunto distinguere quelli che rappresentavano un indizio e quelli che l’autore ha messo lì solo per confondere il lettore (diabolico!). Possiamo però garantire che gli indizi ci sono tutti… e anche qualcuno in più”.
La mascella di Caino contiene anche riferimenti alla cultura inglese e a questioni letterarie legate agli anni ‘30 del 1900. È stato difficile districarsi in questi temi?
“È stata forse la parte più complicata e crediamo sarà quella più ostica per il lettore di oggi, ma confidiamo in un proficuo uso di Internet, una miniera di preziose informazioni: bisogna solo essere sufficientemente scaltri da capire cosa cercare. In questo libro, come in ogni giallo che si rispetti, è tutto sotto i nostri occhi fin da subito”.
Quali sono state le maggiori sfide che avete affrontato in questa traduzione?
“Un’enorme difficoltà è stata senza dubbio quella di pensare come l’autore, o almeno tentare di farlo. Si potrebbe dire che ogni libro che traduciamo ci chiede di pensare come il suo autore, ma qui abbiamo dovuto improvvisarci funamboli e destreggiarci tra il ‘cosa’ e il ‘come’, che in queste pagine fanno a gara per accaparrarsi l’attenzione del lettore. A ogni frase ci siamo chiesti perché l’autore stesse usando quelle parole o esprimendo quel concetto. A ogni passaggio ci siamo chiesti se ci stesse conducendo per mano verso la soluzione o se ci volesse portare in un vicolo cieco, nel quale noi dovevamo portare a nostra volta i lettori. Più di una volta abbiamo temuto di non farcela, ma la forza del gruppo ci ha permesso di sostenerci a vicenda. Torquemada ci ha sfidati a ripensare il nostro ruolo di traduttori e ci ha fatto fare un sano bagno di umiltà. E ce lo siamo immaginati ridere di noi quando disperavamo e ridere con noi quando esultavamo”.