Se è vero che il primo amore non si scorda mai, il romanzo di Natasa Dragnic ne è un febbricitante inno con il libro: “Ogni giorno ogni ora“.
Un inno in cui le parole, e le immagini che ne prendono vita, delineano percorsi e suggestioni più simili al sogno che alla realtà. Ma quando si ama per la prima volta, si ama in un modo convulso e visionario, che a poco a che fare con la realtà. Ed è per questo che il primo grande vero amore non si scorda mai.
Perchè è stato l’unica vera forza in grado di estraniarci da noi stessi, da quello che eravamo e che avremmo voluto essere, e catapultarci in un infinito, immaginifico, spazio ideale.
Al riparo – appunto – dalla realtà.
Ad un certo punto però – come capita ed è capitato ad ognuno di noi – la realtà irrompe nel sogno. E del tanto sognato amore rimane solo qualche frammento…
Suggestivo e poetico.
“È incredibile.”
“Cosa?”
“Essere qui.”
“Perché?”
“Dopo tutti questi anni.”
“È bello.”
“Come ritornare a dormire nel proprio letto dopo un lungo
viaggio.”
“Già.”
“O riscoprire un sapore dell’infanzia.”
“Un lecca-lecca rotondo. Bianco.”
“Con un disegno in mezzo.”
“E i bordi colorati.”
Una cascata di ricordi. Una piccola camera d’albergo nella calura estiva. Pini sotto cui cercare riparo. Un eccesso di luce. Quando si hanno dei segreti. Quando non si vuole essere disturbati.
Quando chiunque altro è di troppo. Quando si sta meglio nella
penombra. Quando dal letto si riesce a toccare ogni angolo della
stanza.
“Qui non è cambiato quasi niente.”
“Trovi?”
“Ti ho ancora davanti agli occhi.”
“Ma senza capelli grigi e senza bastone.”
“Come stai?”
“Ho ancora gli incubi, ma solo ogni tanto.”
“Bene.”
….
“Sì.”
“Perché sorridi?”
“Anch’io ti ho ancora davanti agli occhi.”
Una ragazza giovane, bella. All’ingresso. Con un vestito blu
scuro, stretto. Sandali piatti, bianchi. Due valigie, grandi. Una borsetta, bianca. Le dita cariche di anelli. Capelli lunghi, ricci. Scarmigliati. Davanti agli occhi. Se li soffia via di continuo. Orecchini bianchi e blu. Un viso sottile. Labbra carnose. Naso largo. Grandi occhi scuri. Mani impazienti. Un elegante orologio da polso.
“Mi sono dimenticato del lavoro.”
“Quando?”
“Quando sei entrata nella hall.”
“Quando?”
“Tanto tempo fa. Ti ricordi?”
“Meglio di no.”
“Vederti è…”
“…come un sogno.”
“Come Natale.”
“E Pasqua.”
“E i compleanni.”
“E l’inizio della primavera.”
“Tutto quanto insieme.”
I loro corpi uno accanto all’altro. Sudati. Stanchi. Affamati.
Mai sazi. Felici. Sul lenzuolo bagnato. La mano sul ventre. Le unghie conficcate nel braccio. La bocca sul seno. La gamba avviticchiata sui suoi fianchi. I suoi occhi verdi.
“Mi hai pensato?”
“Quante volte, amore mio, t’amai senza vederti e forse senza il
ricordo / senza riconoscere il tuo sguardo, senza guardarti.”
“Me ne ero quasi dimenticata.”
“Di cosa?”
“Del tuo Neruda.”
“Mi sono immaginato…”
“Cosa?”
“La vita con te”
….
“Per sempre, per l’eternità.”
“E…?”
“Era piena di cose meravigliose.”
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