“Quando torni resta a me” è la graphic novel più personale di Zerocalcare: affronta l’incomunicabilità del passato, la figura del padre, i silenzi di famiglia e il fare i conti col proprio successo.
Attesissima sin da quando, a sorpresa, è stata annunciata qualche mese fa, “Quando muori resta a me” è la nuova, imperdibile graphic novel nata dalla creatività di Zerocalcare. Questa nuova uscita è un po’ diversa rispetto alle opere precedenti dell’autore: molto più intima e personale, possiede un carattere meno pop e più introspettivo.
Durante la narrazione ci imbattiamo, infatti, in una pagina molto eloquente in cui vediamo il personaggio di Zero, quello famoso e identificato con gli occhioni e la maglietta col teschio, guardare sé stesso allo specchio: l’immagine riflessa però, è quella del “vero” Zerocalcare, disegnato in modo estremamente realistico. Il primo pensiero è che, in questa pagina, Zerocalcare si specchia e vede Michele Rech. Ed è un po’ questa, forse, una chiave di lettura di questa sua nuova opera, forse una delle più personali – nel senso di biograficamente intime – tra quelle pubblicate in queste anni..
Quella goccia che scende sul vetro e a un tratto si ferma ti fa immaginare delle situazione che ti farebbero piacere poter vivere. E c’è poesia anche nel rumore del tergicristallo nel momento preciso in cui lo azioni e vedi che le gocce scompaiono dalla tua visuale pensi che sia finito lì il sentimento, ma ecco che, invece dall’altro lato del vetro si formano tante altre goccioline.
La trama
In questa nuova storia, Zero parte per un viaggio per le Dolomiti verso il paese natale del padre, a sistemare un problema in una vecchia casa di famiglia. Tornare lì, però, significa rivangare un odio atavico che quel paese sperduto prova nei confronti della sua famiglia, ma anche affrontare tutte le cose non dette che caratterizzano il suo rapporto con questo Genitore 2 che, finora, abbiamo conosciuto molto meno della controparte materna.
In particolare, il protagonista deve risolvere l’enigma in una giornata di 35 anni prima, il cosiddetto “giorno di Merman”, in cui proprio questa figura paterna si è rivelata sia eroica sia inevitabilmente sfuggente.
In un villaggio montano in cui non prende il telefono da nessuna parte (quindi niente notifiche, niente distrazioni e niente “soave melodia degli accolli”), Zero ripercorre a ritroso non solo la storia della sua famiglia, ma anche la biografia di un padre solo apparentemente mite e ritroso, il quale invece nasconde esperienze battagliere e soprattutto, nascosto ma evidente tra le righe, un amore per il figlio che riesce ad usare le parole per esprimersi, ma è composto di getti nascosti e sotterranei.
Quando muori resta a me
Zerocalcare
Un viaggio con suo padre verso il paesino tra le Dolomiti da cui proviene la famiglia paterna sarebbe la scusa perfetta per capire meglio Genitore 2, ma Zerocalcare e suo padre sono incapaci di parlarsi di cose significative. Questo rende difficile la trasferta, quando si capisce che la loro famiglia non è vista di buon occhio, anzi, da alcuni è proprio odiata, in paese. Le radici dell’odio risalgono a prima della Grande guerra, e si intrecciano al mistero che circonda, da trentacinque anni, il giorno più misterioso ed emblematico della vita di Calcare, quello che lui fin da bambino ricorda come “Il giorno di Merman”. Negli interstizi dei non detti, l’amore incrollabile di un padre per il suo unico figlio attraversa alcune delle pagine più buie della Storia del nostro Paese, silenziosamente coraggioso. Una storia in cui Zerocalcare si costringe a guardarsi allo specchio e non si fa sconti nel raccontare ciò che vede.
Uno stile unico
Com’è tipico delle opere di Zerocalcare, Quando muori resta a me è costruito su un dialogo continuo tra dentro e fuori: il fuori delle storie che accadono agli altri, il dentro del percorso più intimo e tormentato dell’autore stesso.
In particolare in questa storia, Zero vede l’affacciarsi della vita adulta come un traguardo inevitabile, forse già sorpassato, da qui il terrore che il mantra “Non c’è stato il tempo ancora di far succedere altre cose”, oltre quelle mitizzate della giovinezza, sia solo una menzogna per proteggersi dall’immobilità. E proprio come nel paese montano in cui “la Montagna non dimentica”, decifrare il passato diventa l’unico modo per sbloccare il presente, per sfuggire ai “pensieri intrusivi” e quindi sbloccare sé stessi.
È evidente che lo stesso autore si senta a un bivio, perchè vi è una continua autoanalisi, c’è l’ironia fatta sui propri traguardi (la serie Netflix, il merchandising, le ospitate da Fazio) e sulla continua necessità di dimostrare qualcosa soprattutto a sé stesso.
Non che non abbondi anche la solita ironia zerocalcariana. Solo che, come padre e figlio che non riescono a comunicare quasi fosse una maledizione autoritaria, anche questo racconto si asciuga a far da pari alla “pietra delle Dolomiti che non chiede mai”, diventa più asciutto, essenziale e per questo ancora più tagliente
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